San Giuseppe

postato in: Senza categoria | 0

GIUSEPPE DI NAZARETH (Nell’anno a lui dedicato da Papa Francesco)

  1. Padre legale di Gesù, vero padre, perché ha cresciuto Gesù come uomo, l’ha “generato” come uomo, l’ha reso adulto, maturo, l’ ha aperto alla vita, al sacrificio, al mondo…  I progressi della psicologia hanno permesso di riconoscere il ruolo primordiale del padre nell’elaborazione della struttura psichica del bambino: egli rappresenta per quest’ultimo l’alterità e – in senso più lato – l’apertura al mondo. È in risposta alla parola del padre, il quale lo invita a rischiare una parola che gli sia peculiare, che il bambino può esercitare la sua libertà e accedere alla sua identità.   “Il Padre farà conoscere ai figli la fedeltà del tuo amore” (Is 38,19b).
  2. Sa farsi carico di un progetto che non era il suo, ma che lo diviene, perché lo “prende con sé”: “prese con sé la sua sposa” (Mt 1, 24); “«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele” (Mt 2, 20-21). (παραλαμβάνω: prendere con sé, accogliere a sé, vicino a sé, unire a sé, cfr Gv 14,3; 1,11; Mt 24,40s.; Lc 17,34s.; Col 2,6). Tutte le volte che Giuseppe viene menzionato nel Vangelo di Matteo, egli è colui che si fa carico del compito di custodire, accompagnare la madre e il bambino, “prendere con sé” il Bambino Gesù e Maria sua sposa.
  3. Spesso si ritrova ad agire di “notte”: simbolo di oscurità, non vede tutto chiaro, deve fidarsi di chi lo guida, di una parola che gli viene rivolta, della responsabilità di cui è investito. Allora Giuseppe è anche l’uomo dell’ ascolto fiducioso, della fede e dell’ obbedienza: “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24). L’ età adulta è l’età dell’ascolto e dell’obbedienza, perché è l’ età della responsabilità piena; perciò l’obbedienza non è una virtù “infantile”, ma è segno di stabilità interiore, di libertà di potersi concentrare sull’ essenziale, perché non si ha più bisogno di prendere le distanze dagli altri per essere se stessi (come per un adolescente/giovane ribelle e in lotta per affermare se stesso). A 40 anni devi aver capito chi sei e che cosa vuoi. Un detto: “Chi non è rivoluzionario a 20 anni è senza cuore, chi lo è ancora a 40 è senza testa”. Obbedire alla vita, al dovere di guadagnarsi il pane, obbedire alla volontà di Dio, che è sempre a tuo favore e non è mai troppa.
  4. San Francesco alla fine della vita (morto a 44 anni) nel suo Testamento lo dice chiaramente: “E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l’obbedienza e la sua volontà, perché egli è mio signore” (Test 33-34). San Francesco è al culmine della sua maturità, ha dato tutto, si è fatto carico di migliaia di giovani divenuti suoi discepoli, di situazioni ecclesiali e civili difficili (pensate alle crociate), era un’autorità morale e spirituale riconosciuto da tutti, eppure vuole obbedire, ha paura di essere schiavo di se stesso, dei propri automatismi, dei meccanismi istintivi (ho voglia/non ho voglia, mi piace/non mi piace, mi interessa/non mi interessa, mi conviene/non mi conviene, lo sento/non lo sento…).
  5. Giuseppe di Nazareth è anche l’uomo dei sogni. Contrariamente a quanto a volte si pensa – che cioè nell’età adulta si sono smarriti i sogni, gli entusiasmi propri della giovinezza. Ai giovani si dice: divertiti adesso perché poi la vita è dura, piena di doveri, sottoposta alla routine, ripetitiva, grigia, tutta dedita al lavoro, ai problemi da risolvere… Devi trovare un orizzonte verso il quale sei attratto, devi trovare una fonte fresca da cui alimentare la tua vita e la tua sete. Giuseppe, adulto, non ha smesso di essere l’ uomo dei sogni, come i giovani, non ha smesso di cercare e accettare un progetto misterioso con cui Dio vuole riempire la sua vita e attraverso di lui donarsi a tanti altri. Giuseppe non guarda al passato, né si appiattisce sul presente, ma accetta da Dio un futuro sempre grande e nuovo.
  6. L’uomo maturo incarna un’idea antitetica a quella della mentalità così diffusa oggi, diffusa e sterile. L’idea che abbiamo oggi dell’adulto è che basta a se stesso e che non deve chiedere niente a nessuno, l’uomo che si è fatto da solo, l’uomo che non deve mai manifestare il suo limite, i suoi bisogni, le sue necessità. Adulto invece è colui che ha capito che la vita non se l’è data da solo, che la vita non è “sua”, quindi non la può vivere per sé solo, sa farne dono, sa vivere per qualcuno. È uno che non “pretende” dagli altri, ma è disponibile al dono di sé. Adulto è uno che sa portare i pesi, perché sono i pesi che lo portano. Le ali di un volatile appesantiscono il volatile, ma lo sorreggono e lo portano. le ali dell’aereo appesantiscono l’aereo, ma lo portano. è quanto dice Gesù: “29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,29-30). La croce pesa ma ci porta.(Un giorno di kemio, offerto per…, diventa dolce!).
  7. L’età adulta è quella della responsabilità piena, nella quale si consolida la scelta giovanile, si accetta di vivere secondo il “principio della realtà”. La crescita e la maturità di un individuo si caratterizzano per l’acquisita capacità di abbandonare un piacere momentaneo e incerto nelle sue conseguenze, per conseguire in avvenire un piacere più sicuro (la stabilità affettiva nel matrimonio, la bellezza di avere figli, la perseveranza nella vocazione alla vita consacrata, la stabilità delle amicizie, la fedeltà…). Non si può vivere senza piacere, ce lo dice anche San Tommaso d’Aquino, ma dipende da ciò che ti piace. È lì il problema, perché ci sono cose che ti piacciono, ma che poi ti lasciano il vuoto, più vuoto di prima, come il fare di testa propria, come la droga, la sessualità vissuta male. La maturità consente di distinguere la realtà dalle fantasie e dai desideri. Qui comanda  l’ io veramente libero. E se non è libero (ma chi è veramente libero?) sente il bisogno di vincolarsi, accetta i legami (i voti per i consacrati, il legame matrimoniale per chi si sposa, assunzione di responsabilità). “Non è inutile, a questo scopo, un breve richiamo ad Aristotele. Aristotele infatti, contraddicendo il senso comune, spiega che lo schiavo è colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L’uomo libero invece è colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri…” (famiglia, cittadinanza, lavoro …) (M. Banasayag-G. Schmit, L’ epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, p. 101). Si può ricordare Ulisse all’isola delle sirene, bellissime, dalla voce che canta e affascina, ma ferocissime, che sbranano coloro che si avventurano sulla loro isola: Ulisse si fa legare all’albero della nave e si salva. I legami ti salvano, ti tengono in piedi, impediscono la tua morte, ti impediscono di regredire all’ adolescenza, all’infantilismo, ti fanno crescere, ti sorreggono. Tempo della responsabilità piena: tempo dei legami, per mantener fede agli impegni presi, dare la vita per qualcuno, non vivere solo per se stessi.
  8. L’adulto è aperto alla trascendenza, non si arresta alla superficie delle cose, ma sente che c’è altro, oltre, più in profondità. Si apre al Mistero, a qualcosa di grande che non dipende da lui e che percepisce come ragione del tutto. E scava anche nei suoi desideri. Non si accontenta facilmente, di ciò che è più facile, più immediato. “Se le persone non trovano quello che desiderano, si accontentano di desiderare quello che trovano” (M. Banasayag-G. Schmit, L’ epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, p. 101). “Chi si accontenta… gode?… chi si accontenta … si accontenta, ma non gode!

San Giuseppe, Maria di Nazaret: persone adulte (seppur giovani) nella fede e mature umanamente. Si lasciano guidare dall’obbedienza della fede (cfr. Rom 1,5; 16,26). Queste sono le persone coinvolte nel Regno di Dio. Di queste persone c’è bisogno: per famiglie nuove, per la politica, per l’educazione, per la comunicazione… Di queste persone Dio si serve per portare avanti il suo progetto di salvezza.

Fr. Giancarlo Rosati ofm

 

Giuseppe, modello di ogni credente

Ermes Ronchi

Santa Famiglia di Gesù,

Maria e Giuseppe ” Anno A

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Il Natale non è sentimentale ma drammatico: è l’inizio di un nuovo ordinamento di tutte le cose. Non una festa di buoni sentimenti, ma il giudizio sul mondo, la conversione della storia. La grande ruota del mondo aveva sempre girato in un unico senso: dal basso verso l’alto, dal piccolo verso il grande, dal debole verso il forte.

Quando Gesù nasce, anzi quando il Figlio di Dio è partorito da una donna, il movimento della storia per un istante si inceppa e poi prende a scorrere nel senso opposto: l’onnipotente si fa debole, l’eterno si fa mortale, l’infinito è nel frammento.

Le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia: un padre, una madre, un figlio, il nodo della vita, il perno del futuro. Le cose decisive ” oggi come allora ” accadono dentro le relazioni, cuore a cuore, nel quotidiano coraggio di una, di tante, di infinite creature innamorate e generose che sanno “prendere con sé” la vita d’altri. Giuseppe è il modello di ogni credente, in cui la fede e affetti sono forza l’uno per l’altro.

Erode invia soldati, Dio manda un sogno. Un granello di sogno caduto dentro gli ingranaggi duri della storia basta a modificarne il corso.

«Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto». Un Dio che fugge nella notte! Perché l’angelo comanda di fuggire, senza garantire un futuro, senza segnare la strada e la data del ritorno? Perché Dio non salva dall’esilio, ma nell’esilio; non ti evita il deserto ma è forza dentro il deserto, non protegge dalla notte ma nella notte.

Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio parziale, una profezia di breve respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro, di vedere l’orizzonte completo, ma solo «tanta luce quanto basta al primo passo» (H. Newman), tanta forza quanta ne serve per la prima notte. A Giuseppe basta un Dio che intreccia il suo respiro con quello dei tre fuggiaschi per sapere che il viaggio va verso casa, anche se passa per il lontano Egitto; che è un’avventura di pericoli, di strade, di rifugi e di sogni, ma che c’è un filo rosso il cui capo è saldo nella mano di Dio.

Giuseppe rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che, prendendo su di sé vite d’altri, vivono l’amore senza contare fatiche e paure; tutti quelli che senza proclami e senza ricompense, in silenzio, fanno ciò che devono fare; tutti coloro il cui «compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita» (E. Canetti). E così fanno: concreti e insieme sognatori, inermi eppure più forti di ogni faraone.

(Letture: Siracide 3, 3-7.14-17a; Salmo 127; Colossesi 3, 12-21; Matteo 2, 13-15. 19-23)

 

 

San Giuseppe, vero padre di famiglia

Fondatore e priore della comunità monastica della Famiglia di San Giuseppe, padre Joseph-Marie Verline ci introduce alla grande figura di san Giuseppe, a cui papa Francesco ha consacrato un anno speciale in occasione del 150º anniversario della sua proclamazione a patrono universale della Chiesa. Per assicurare la loro missione, Gesù e Maria avevano bisogno di un padre e di uno sposo. Naturalmente Dio ha ricolmato Giuseppe di tutte le grazie necessarie per questo ruolo unico.  

Gesù, vero Dio e vero uomo, doveva avere una vera famiglia. Per potersi realizzare umanamente, il Figlio di Dio incarnato ha dovuto beneficiare, come ogni uomo, del ministero della maternità e della paternità. Bisogna qui ricordare la dottrina delle due coscienze di Gesù: quando il Verbo si fece carne, Egli non perse in nulla la sua coscienza di Figlio di Dio; assunse però anche una coscienza di sé umana, inerente alla completa umanità ricevuta dalla Vergine Maria.

L’uomo Gesù aveva bisogno di un padre

L’Incarnazione rispetta pienamente la legge della crescita umana. Questa presa di coscienza avvenne progressivamente, secondo le leggi della psicologia che l’Incarnazione ha pienamente rispettato. Ecco perché il Bambino aveva bisogno non soltanto di una madre, ma anche di un padre, per crescere «in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). I progressi della psicologia hanno permesso di riconoscere il ruolo primordiale del padre nell’elaborazione della struttura psichica del bambino: egli rappresenta per quest’ultimo l’alterità e – in senso più lato – l’apertura al mondo. È in risposta alla parola del padre, il quale lo invita a rischiare una parola che gli sia peculiare, che il bambino può esercitare la sua libertà e accedere alla sua identità.

Naturalmente, Dio ha colmato Giuseppe di tutte le grazie necessarie alla sua missione unica. Colui a cui Dio ha affidato «i suoi due tesori più preziosi» – Gesù e Maria – ha necessariamente ricevuto fin dall’alba della sua esistenza tutte le grazie che gli sarebbero state necessarie per assicurare il suo ministero di sposo della Vergine e di padre del Figlio di Dio. Alcuni santi – e non dei “minori”, visto che si annoverano nei loro ranghi Francesco di Sales, dottore della Chiesa, e Padre Pio – si sono spinti fino a considerare che, per essere il degno sposo della Vergine Immacolata, san Giuseppe avrebbe dovuto gioire della medesima grazia, ed essere anch’egli preservato da ogni peccato fin nel suo concepimento. La Chiesa però non si è mai pronunciata nello specifico punto: la bolla Ineffabilis Deus, dell’8 dicembre 1854, con la quale Pio IX definiva il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, sembra anzi escludere implicitamente l’ipotesi, dal momento che parla di un “privilegio unico” accordato alla Vergine Maria in vista della sua divina maternità.

Una grazia singolare

È certo che san Giuseppe ha ricevuto tutte le grazie che gli sarebbero state necessarie per compiere la sua missione unica al fianco della Vergine Maria. San Bernardino da Siena (1380-1444) sviluppò a tal proposito un pensiero esemplare:

È una regola universale, per tutte le grazie accordate a qualsivoglia creatura ragionevole, che quando la bontà divina sceglie qualcuno per onorarlo di una grazia singolare o elevarlo a uno stato sublime, sempre Essa accorda a questo eletto tutti i doni che sono necessari alla sua persona e al compimento della sua missione, e liberalmente lo adorna di questi doni.

Questo principio si è verificato soprattutto in san Giuseppe, padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo e vero sposo della Regina del mondo. Scelto dall’Eterno Padre per essere il fedele nutricio e il custode dei suoi più grandi tesori, cioè del suo Figlio e della sua sposa, egli si è dedicato fedelissimamente al suo compito. Il Signore gli ha dunque detto: «Bene, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore».

L’uomo nuovo doveva nascere in seno a una famiglia

È piaciuto a Dio ricapitolare tutto in Cristo (Col 1,16-21). Gesù risorto è il primogenito dell’umanità nuova, ricreata a immagine e somiglianza di Dio. All’alba della nuova creazione, era conveniente che si trovasse una nuova coppia – restaurata nella grazia in virtù dell’opera redentrice di Colui che essa doveva accogliere, Gesù Cristo nostro Salvatore. All’alba dei tempi nuovi appariva dunque non una Vergine solitaria, ma una coppia, nella quale sarebbe nato il Salvatore. Il Bambino è nato dal grembo della Vergine Maria, «data in matrimonio a Giuseppe» (Lc 1,27): è importante essere precisi. L’Uomo nuovo doveva nascere in seno a una famiglia che realizza pienamente il disegno di Dio sull’uomo e sulla donna, rivelato nel libro della Genesi:

Dio creò l’uomo a propria immagine; a immagine di Dio egli lo creò; maschio e femmina lo creò.

Gen 1,27

 

 

 

 

 

I commenti sono chiusi.